Cronache del ghiaccio e del fuoco / 5

Aurora-03

Due settimane fa, appena atterrato in Islanda, mi stavo chiedendo cosa ci fosse di strano nel paesaggio che scorreva fluido oltre il vetro del finestrino del bus che dall’aeroporto viaggiava in direzione di Reykjavík. Ci ho messo quasi quaranta minuti a capire che quella bizzarra sensazione era dovuta alla totale assenza di vegetazione. Rocce e sassi, brulla pianura o pendii impervi spruzzati di neve, qui e là chiazze di licheni e muschio; ma nessun arbusto. Solo avvicinandosi al centro abitato hanno cominciato ad apparire alcuni alberi sparuti, evidentemente piantati nei pressi delle case da mano d’uomo.

Eppure pare che i primi esploratori avessero trovato una situazione diversa, con l’isola in buona parte ricoperta da vegetazione. Alberi in abbondanza, da cui ricavare legno per produrre utensili, riparo, calore.
Ma dalla sussistenza allo sfruttamento indiscriminato in certi casi il passo è breve, e oggi gli islandesi stanno cercando di ripopolare l’isola delle foreste ormai ridotte a pochi arbusti battuti dal vento (“che devo fare se mi perdo in una foresta islandese?” “Alzati in  piedi”).

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Il paesaggio che regala l’isola, così estraneo agli abitanti dell’Europa continentale, ha permesso lo sviluppo di un fiorente settore turistico basato sulle attrazioni naturalistiche che l’Islanda ha da offrire. E non si deve andare troppo lontano: basta percorrere pochi chilometri per allontanarsi dai piccoli centri abitati e trovarsi di fronte la Natura.
Eppure non stupisce che l’Islandese di leopardiana memoria non fosse in grado di riconoscerla, perso nell’Africa equatoriale. La Natura dell’isola non è quella opulenta tipica delle foreste pluviali, ma una manifestazione aspra e violenta che ben si rivela nelle coste frastagliate; epilogo momentaneo e mutevole della battaglia perenne tra la roccia incandescente eruttata dai vulcani e la distesa d’acqua dell’Oceano Atlantico dai cui flutti essa sorge.

E  il cielo non è da meno.
A compensare una volta stellata quasi immutabile nel mostrare unicamente le costellazioni più prossime al Polo, le luci dell’Aurora possono guizzare improvvise e donare lampi di colore per poi sparire rapidamente; oppure allungarsi nel cielo e invadere ogni angolo disponibile sopra l’orizzonte, in un chiarore opalescente e pulsante.

Kolgrafafjordur panorama.jpg

Canon 6D modificata
Samyang 24 mm f/1.4
ISO 3200, 6 s, f/1.4
Panorama di 6 scatti verticali
Scattata alle ore 1:43 WET ca. del 17-3-2018

Dire che ci si sente piccoli, sperduti e impotenti di fronte a uno spettacolo che è fatto di acqua, fuoco, ghiaccio e luce è ovviamente tanto un cliché quanto espressione di un sentimento sincero. Non ho la pretesta di riuscire a descrivere l’esperienza a parole, e forse ne ho già scritto fin troppo. Probabilmente è meglio lasciar parlare le immagini, anche se temo che possano essere solo un surrogato imperfetto di ciò a cui hanno assistito i miei occhi.

Kolgrafafjordur.jpg

Canon 6D modificata
Samyang XP 14 mm f/2.4
ISO 3200, 8 s, f/2.4
Scattata alle ore 1:50 WET del 17-3-2018

A più alta risoluzione qui.

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