Un ritaglio di cielo

dalla finestra
Lo so, non è il solito panorama.

I suoni della città paiono quelli di metà agosto, quando tutti sono al mare e i rombi dei motori un’eco vaga tra i palazzi. Ma non è una notte d’estate questa, e Orione coricato sui tetti lo dimostra: lo scorgo in quel ritaglio di cielo che i palazzi lasciano libero alla vista, una pezza sbrindellata da comignoli e abbaini.

Stiamo a casa, usciamo solo per reali necessità, coltiviamo gli affetti a distanza. Rallentiamo la diffusione di un virus che all’inizio era solo una delle tante notizie lontane, poi una banale influenza, poi qualcosa di più, via via che ci siamo resi conto di esserne pesantemente coinvolti.
Tutti.
Certo, per la maggior parte di noi sarà un coinvolgimento indiretto, e di sicuro qualcuno si chiederà – anzi, si sta già chiedendo! – se non siano misure troppo restrittive, ma il punto è proprio questo: le misure sono restrittive proprio perché la maggior parte della popolazione non venga coinvolta. Paradossalmente, vedremo se la chiusura dell’Italia avrà successo proprio dal numero di coloro che avranno ancora polmoni sani per dar fiato alle proteste.

E allora ci si trova a dover fare i conti con la fusione straniante di casa e lavoro – ché imparare lo smart working è un lavoro anch’esso – a salutare attraverso un video genitori, nonni, fidanzati che sono solo qualche chilometro o pochi isolati più in là, a dover gestire ozio e noia o i propri figli, che si chiedono come mai non possano andare a scuola o al parco a giocare con gli amici.

Mi è tornato in mente un episodio degli ultimi anni del liceo.
Quella mattina avrei dovuto raccontare ai miei compagni di classe il libro che avevo finito di leggere. Per farlo, d’accordo con la professoressa, sgattaiolammo fuori dall’aula tra la prima e la seconda ora di Lettere e chiudemmo il resto dei miei compagni in aula. A chiave.
Non c’era motivo perché qualcuno dovesse uscire dall’aula, ma quando i miei compagni si accorsero di non poterlo fare tentarono di sfondare la porta a calci e spallate, distruggendo la maniglia.
Il libro era “La peste” di Albert Camus.

(Sta a vedere alla fine libertà, più della scelta in sé, è solo la sensazione di poterla fare; perché poi finiamo ugualmente stravaccati sul divano a ingozzarci di serie su Netflix. Ma ehi!, per libera scelta, mica perché siamo costretti)

Come gli altri musei – e ora anche gran parte di tutto il resto – il Planetario di Torino è chiuso. Lavoro assieme ai miei colleghi via mail, su Skype o Slack; cerchiamo di continuare le attività con proposte a distanza. Il case del nostro planetario portatile occupa una buona parte della mia cucina, trasformato per necessità da sistema di proiezione a workstation: ho un universo digitale a portata di mano, sul tavolo di casa, da programmare ed esplorare.

Ma io mi trovo spesso a guardare quel ritaglio di cielo visibile dalla mia finestra, le fioche stelle che lo punteggiano, il bagliore della Luna che sorge dietro i palazzi.
Mi dico “pazienza”. Torneranno i soliti panorami.

 

Un commento Aggiungi il tuo

  1. yaxara ha detto:

    Spero che tornino presto i paesaggi stellati!

Rispondi