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Un buco nero. Così, perché fa figo.

interstellar

L’altro giorno mi sono imbattuto in un offerta 2×1 sui film in blu ray, occasione per accattarmi una pellicola interessante e per dare un’altra chance a Interstellar, colossal fantascientifico di Nolan uscito nelle sale ormai 3 anni fa.

E niente, confermo quasi parola per parola ciò che scrissi all’epoca su facebook.

Ebbene, ho preso una decisione. Sono andato a vederlo e, visto che tutti ne parlano, pretendo anch’io nel mio piccol(issim)o diritto di parola in merito.

Interstellar the day after

Se volessi farla breve, direi che concordo quasi parola per parola con quanto scritto da Marco Delmastro sul suo blog; mi ritrovo inoltre con la maggior parte dei commenti di Paolo Attivissimo, anche se forse non nell’arrabbiatura complessiva, e condivido il plauso di Amedeo Balbi alla pellicola pro-tecnologia (o quanto meno pro-curiosità, che è il motore che ci spinge a cercare, viaggiare, scoprire, inventare) che è il film Interstellar.
Purtroppo oggi ho del tempo da perdere e ho deciso che aggiungerò qualche mia personale considerazione. Se pensate che abbia già scritto troppo, twitter è solo un’icona più in là sul vostro smartphone; se non ve ne frega nulla, sotto questo post ci sarà sicuramente una compilation di epic fail di ice bucket challenge con ragazze in bikini succinti (post consigliato). Liberi di andare per la vostra strada.
Partiamo dalle

Note positive

La fotografia

Va bene, Nolan – o meglio, Van Hoytema – non si inventa niente, nulla che faccia davvero gridare al miracolo (qualcuno ha detto Hugo Cabret? O Lincoln?), però fa le cose per bene. E alcune inquadrature sono davvero delle chicche (l’astronave, minuscola, in orbita attorno a Saturno, con il cielo SENZA stelle! Chapeau).

Nello spazio nessuno può sentirti urlare

Nel vuoto non si sentono i suoni. E se posso ammettere che per esigenze di linguaggio un’esplosione possa fare boom anche nello spazio, ho comunque veramente apprezzato l’assenza totale di suoni nelle riprese “in esterna”. Ditemi voi se il cambio di inquadratura durante la morte del dottor Mann ha tolto qualcosa alla scena, per me è stato l’opposto. È che bisogna saperli usare, i silenzi.

Peccati (quasi) veniali

Che poi sono quelli che mi fanno arrabbiare di più, spesso perché assolutamente gratuiti.

Fisica ad personam

Durante il film lo spettatore è abbondantemente infarinato riguardo gli effetti più esotici della distorsione spaziotemporale, salvo poi dimenticarsi degli effetti più “normali”. Alcuni esempi.

Come già scritto da Marco, sul primo pianeta l’influenza del buco nero genera enormi maree, ma il fenomeno è circoscritto all’acqua e non ha effetto né sull’astronave né sulle persone. (phys mode ON – Tralasciamo il fatto che a prima vista una marea del genere sarebbe possibile solo se ben all’interno del limite di Roche, cosa che genererebbe l’immediata disgregazione del pianeta stesso – phys mode OFF)

Come fatto notare da Paolo Attivissimo, l’astronave di Cooper necessita di un vettore tipo Saturn V per lasciare la Terra, mentre non ci sono problemi ad abbandonare in fretta e furia gli altri (se nel primo caso possiamo forse tirare in ballo le forze mareali di Gargantua, nel secondo caso non ha proprio giustificazioni).

A quanto pare Cooper era un pilota della NASA, quindi, in teoria, sa come funzionano le orbite et cetera. Peccato che la sua proposta di discesa sul primo pianeta – il pianeta di Miller – non stia in piedi (phys mode ON – non si può essere su un’orbita più alta rispetto al pianeta per “sfuggire” alla dilatazione temporale e nel contempo avere lo stesso periodo orbitale senza abbondante consumo di propellente, alla faccia del risparmio del carburante. L’unico modo per farlo è trovarsi in un punto lagrangiano del sistema Gargantua-pianeta, ma così facendo si sarebbe troppo vicini al buco nero, e saremmo daccapo coi problemi di dilatazione temporale. Ovviamente io NON pretendo che tutto ciò venga spiegato nel film, ma almeno un disegno corretto, o è chiedere troppo? – phys mode OFF). Anche l’uscita dall’orbita terrestre, con i motori puntati verso il pianeta Terra, mi lascia un tantino perplesso; ma non sono un ingegnere aerospaziale e non mi intendo di trasferimenti orbitali, quindi sorvoliamo.

Come diavolo fanno Amelia Brand e compagnia a essersi “dimenticati” dell’effetto di dilatazione temporale sull’invio dei segnali della sonda sul pianeta di Miller? Se la sonda si è schiantata pochi minuti (tempo proprio) dopo l’ingresso nell’atmosfera del pianeta, sulla Terra – o sull’astronave – avranno ricevuto solo pochi dati, ovvero quelli che la sonda ha avuto modo di raccogliere nei pochi minuti di vita e non un’intera analisi approfondita, che richiederebbe anni-soggettivi di rilevazioni. Va bene, l’errore è necessario per giustificare l’atterraggio sul pianeta, fatto che segna l’inizio della crisi all’interno dell’intreccio, ma la cosa non sta in piedi. (phys mode ON – ho un dubbio: se il redshift gravitazionale diminuisce la frequenza della portante della trasmittente mi viene in mente che anche il tasso trasferimento dell’informazione debba subire un rallentamento, e quei pochi minuti di analisi sarebbero effettivamente spalmati nell’arco di anni, o sbaglio? Qualcuno all’ascolto può dirimere la questione? – phys mode OFF)

Dire che i pianeti di Miller e Mann siano quantomeno inverosimili è un eufemismo. Il primo pianeta o è ricoperto da un oceano profondo mezzo metro ovunque, oppure i nostri hanno avuto l’enorme fortuna di atterrare su una secca. Entrambi i casi non sono impossibili, ma decisamente improbabili. Ciò che a mio modo di vedere invece non sta in piedi è la presenza di nuvole ghiacciate sul pianeta di Mann. Evidentemente il caro vecchio principio di Archimede ha deciso di dare forfait. Se, come pare dalle affermazioni e dalle immagini, quelli sono blocchi di materiale ghiacciato di caratteristiche tali da deviare l’astronave di Cooper & C. in volo, mi chiedo quale spinta idrostatica permetta loro di stare a mezz’aria.

Per quanto riguarda il pianeta di Mann, se io fossi in Cooper avrei qualche remora a farmi togliere la visiera nonostante l’immediata necessità di ossigeno: anche ammesso che la temperatura esterna non sia particolarmente rigida, l’atmosfera in buona parte composta di ammoniaca (lo dice il dott. Mann) potrebbe non essere troppo gradita dalle mucose del nostro eroe.

Peccati gravi

E qui lasciamo da parte la fisica, perché, per quanto mi riguarda, le boiate maggiori non sono tanto il non aver mostrato l’effetto Doppler nel disco di accrescimento di Gargantua (cosa che – spiega Thorne in The science of Interstellar – non è stata inserita per non confondere lo spettatore medio e per dare al buco nero un aspetto più uniforme), ma altrove.

La pellicola di Nolan ha un bel soggetto e spunti interessanti, ma poi al momento di girare si sono accorti si erano fermati alla scaletta del film e mancava una cosa fondamentale: la sceneggiatura.
A quel punto hanno davvero ingaggiato i ghostwriter esodati dei Baci Perugina (semicit.) dicendo loro che avevano bisogno di tre ore di dialoghi, consegna in giornata. Ecco allora in ordine sparso l’argomento della curiosità e dell’inventiva (che però nella sua degenerazione porta sfruttamento e la piaga), i vari risvolti della tematica dell’abbandono (nei figli di Cooper e nel dott. Mann) e il relativo dialogo coi morti (a tutti gli effetti, per i terrestri, i membri della missione sono morti: la lapide è il monitor davanti al quale si siedono per registrare trasmissioni che poi sono monologhi, perché dall’altra parte del wormhole non riescono a rispondere), nonché la questione altruismo/egoismo/bene comune (sollevata e allo stesso tempo sepolta nelle poche striminzite frasi del dott. Mann); tutti argomenti appena accennati o gettati lì quasi a casaccio e conditi da un’accozzaglia di frasi stereotipate.

Va bene, smetto qua che avrei ancora da parlare dell’interpretazione insipida di Caine (che io ammiro moltissimo) e di quella della Hataway, invece proprio brutta (ma forse è colpa della famosa sceneggiatura di cui sopra); ma sarebbe farla (troppo) fuori dal vaso.

 

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