Pianeta o pianeta nano?

Plutone ripreso l'11 luglio dallo strumento LORRI montato a bordo della New Horizon.  Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI
Plutone ripreso l’11 luglio dallo strumento LORRI montato a bordo della New Horizons.
Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI

Attualmente, il nostro Sistema Solare è ufficialmente composto da una stella, 8 pianeti, 5 pianeti nani e una miriade di satelliti e corpi minori. Come ho raccontato in precedenza, questa suddivisione è nata nel 2006, a seguito della decisione dell’Unione Astronomica Internazionale di rivedere la classificazione dei corpi celesti in orbita attorno al Sole, introducendo la classe dei “pianeti nani”.

La scelta ha generato alcune controversie, e periodicamente torna in auge l’idea di fare dietro front e rivedere questa classificazione. O almeno questo è quello che sembra, a giudicare da ciò che circola per la rete e nei social network. In realtà, il dibattito – se di dibattito si può parlare – è tenuto in vita da pochi scienziati, quasi tutti statunitensi.
Ma andiamo con ordine.

La quasi totalità della discussione si incentra su Plutone, ex nono pianeta retrocesso in serie B dalle decisioni della IAU. Ma quali sarebbero i motivi per rivedere la classificazione attuale e far rientrare Plutone tra i ranghi dei pianeti propriamente detti?

Alcune obiezioni riguardano la definizione in sé.
(non ricordi la definizione di pianeta nano? La trovi qui)
Quella di pianeta [nano] ha il difetto di non essere una definizione operativa: essa è più o meno immediata e comprensibile per chiunque la legga, ma non fornisce esplicitamente dei parametri quantitativi sui quali basarsi per discriminare con esattezza se il corpo celeste in esame sia pianeta [nano] o meno. Questo ovviamente non vale solo per la parte relativa all’aver “ripulito le vicinanze dell’orbita”, ma anche per gli altri punti.
Ad esempio, nessun corpo celeste è perfettamente sferico (a causa dei moti di rotazione, dei fenomeni legati alla tettonica, al vulcanismo, all’impatto meteorico, etc…), motivo per cui è necessario stabilire delle tolleranze all’interno delle quali si considera che corpo celeste abbia raggiunto l’equilibrio idrostatico e pertanto possa essere considerato “quasi sferico”.
Ma moltissime definizioni sono generiche; a queste, poi, si affiancano i criteri necessari a renderle operative per gli addetti ai lavori.

Secondo alcuni, la definizione non è valida perché non considera i pianeti extrasolari (nella definizione della IAU un pianeta è tale solo se orbita attorno al Sole). La questione è ben nota ed è stata discussa prima della votazione, (qui il video, in inglese, la domanda è al minuto 48),  ma non ha nulla a che fare con la discriminazione riguardante corpi celesti che invece orbitano attorno al Sole, quali Plutone & Co. È un tipico caso di argomento fantoccio, in cui si cerca di attaccare un argomento secondario che però ha poco a che vedere con il dibattito principale, in questo caso se Plutone debba o meno essere considerato un pianeta.

Altre obiezioni riguardano la votazione della definizione.
La risoluzione B5 (quella riguardante le definizioni di pianeta e pianeta nano) è stata votata il 24 agosto 2006, l’ultimo giorno dell’Assemblea Generale della IAU a Praga. Pare che a votare fossero rimasti in 424, rispetto ai più di 2500 partecipanti all’Assemblea (a loro volta una piccola parte dell’intera comunità internazionale degli astronomi). Un rapido calcolo ha portato alcuni a dire che avrebbe votato meno del 5% degli astronomi del pianeta, un dato che ha fatto subito gridare alla non democraticità dell’intera faccenda.
Ora, qui ci sono alcune considerazioni da fare.
Prima considerazione: se potevi votare e non hai votato sono fatti tuoi. Questo vale in generale per le votazioni della IAU quanto per le elezioni politico-amministrative.
Seconda considerazione: molti di coloro che non erano più presenti semplicemente non erano interessati alla questione. L’astronomia è una materia vastissima, e all’Assemblea Generale c’erano cosmologi, fisici solari, astrometristi, etc… tutte persone che avevano decisamente poco a che fare con la proposta di riclassificazione dei pianeti del Sistema Solare. Rinfacciare di non aver ascoltato il loro parere è come se nel mondo sportivo ci si lamentasse perché la nuova regola del fuorigioco è stata decisa senza considerare il punto di vista dei giocatori di tennis.
Terza considerazione: molti dei 424 presenti erano là in rappresentanza di un intero dipartimento, e il loro voto esprimeva anche il consenso (o meno) dei colleghi non presenti fisicamente.

In alcuni casi vengono tirate in ballo altre caratteristiche fisiche del corpo celeste, come l’evidenza che Plutone abbia ben 5 satelliti e un’atmosfera attorno a sé, o riguardo il fatto che sì, Plutone è piccolo rispetto alla Terra, ma la Terra è piccola rispetto a Giove.
Si tratta però di falsi argomenti: avere dei satelliti non è un discriminante (Venere non ne ha, mentre l’asteroide Ida ne ha uno), così come la presenza o meno di atmosfera (assente attorno a Mercurio, a causa della vicinanza col Sole).
Per quanto riguarda le dimensioni, poi, nel Sistema Solare cambiano enormemente, e mettere uno spartiacque è proprio il compito delle definizioni come quelle di pianeta e pianeta nano. Se proprio vogliamo essere pignoli, la massa di Giove è 304 volte quella della Terra, mentre il nostro pianeta è 453 volte più massiccio di Plutone, cosa che semmai giustificherebbe il declassamento di quest’ultimo, non il contrario.

Non mi soffermo neanche sui bisticci linguistici, per cui se Plutone è un pianeta nano allora è un pianeta, perché “un ippopotamo nano è sempre un ippopotamo” (bene, chiamiamoli astondi o roundsteroids e risolviamo il problema).

In definitiva, non ci sono motivi seri per rivedere la decisione della IAU, se non per migliorare – dal punto di vista operativo – le definizioni di pianeta e pianeta nano.
Come mai, allora, astronomi e media americani tornano periodicamente sull’argomento, spingendo verso il reintegro di Plutone allo status di pianeta?

Con buona probabilità è una mera questione campanilistica: Plutone infatti è l’unico tra gli (ex) nove pianeti ad essere stato scoperto da uno statunitense. Se vi sembra un motivo ridicolo, non dimenticate che gli scienziati sono esseri umani, con i medesimi pregi e difetti.

Uno dei più grandi critici dell’attuale divisione del Sistema Solare è Alan Stern, Principal Investigator della missione New Horizons, la sonda che proprio in queste ore sta sorvolando Plutone dopo quasi dieci anni di viaggio. Sue, ad esempio, sono le critiche sull’esiguo numero dei partecipanti alla votazione, così come il bisticcio linguistico dell’ippopotamo, solo per citarne un paio.
Se avete letto il post precedente, ricorderete che Stern è anche colui che assieme a Levison propose di introdurre un parametro Λ per quantificare la dominanza gravitazionale di un corpo celeste e meglio definire lo status di pianeta. L’ironia della sorte è che funziona benissimo: con questo metodo si ottengono due classi di oggetti, guarda caso gli otto pianeti da una parte e i 5 pianeti nani dall’altra (nell’articolo originale la divisione è 8 e 2, semplicemente perché nel 2000 non erano stati ancora scoperti Eris, Haumea e Makemake). L’unica differenza è che Stern e Levison li chiamano tutti pianeti, fatto salvo dividere internamente la classe in überplanets e unterplanets invece di chiamarli direttamente pianeti e pianeti nani. Ancora una volta la diatriba è linguistica.

Ma, alla fine, è davvero così importante che Plutone sia considerato un pianeta nano piuttosto che un pianeta? Forse dal punto di vista mnemonico sì: se le classificazioni servono per ordinare e permetterci di ricordare meglio le cose, ha poco senso che vi sia un’unica classe con 13 corpi celesti, numero destinato certamente ad aumentare di molto mano a mano che migliora la nostra capacità di osservare le propaggini più esterne del Sistema Solare. Ma si tratta pur sempre di etichette.

In fin dei conti, probabilmente, posizione più sensata quella della NASA:

We do not care what this object is called; it’s an object well worth observing.

Non importa come lo si chiami, è un oggetto degno di essere studiato.

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