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Si fa presto a dire abitabile

Rappresentazione artistica del sistema planetario di TRAPPIST-1. Crediti: ESO.

La notizia recente della scoperta di 7 pianeti rocciosi in orbita attorno alla stella denominata TRAPPIST-1 ha ridestato l’interesse del grande pubblico nei confronti dei pianeti extrasolari e della ricerca di vita al di fuori del Sistema Solare. L’annuncio, già di per sé abbastanza importante, è stato reso più succulento dal fatto che di questi sette pianeti ben tre si troverebbero all’interno della fascia di abitabilità (o zona abitabile, abbreviato con HZ) del sistema, ovvero alla giusta distanza dalla stella centrale perché vi possa essere acqua allo stato liquido sulla loro superficie: né troppo lontano – dove farebbe troppo freddo – né troppo vicino, dove invece la luce della stella renderebbe il pianeta rovente.
Purtroppo, il trovarsi alla giusta distanza da una stella non è assolutamente condizione sufficiente perché un pianeta possa dirsi abitabile, e ciò è tanto più vero quando si tratta di nane rosse come TRAPPIST-1.

A oggi, dire che un pianeta è abitabile significa quasi sempre “il più possibile simile alla Terra”, perché il concetto di abitabilità è giocoforza legato alle uniche forme di vita che attualmente sappiamo esistere nell’Universo: quelle sviluppatesi sul nostro pianeta, che necessitano (quasi) tutte di abbondante acqua liquida per sopravvivere. Questa sorta di geocentrismo moderno ci potrebbe portare a essere decisamente miopi nei confronti di possibilità alternative, ma al momento non si può fare molto altro.

Definire la HZ non è affatto semplice, ma la sua collocazione dipende innanzitutto dalla stella considerata: più è massiccia la stella più essa sarà luminosa, con la conseguenza di avere una HZ molto distante dall’astro. Al contrario, una stella di piccola massa come TRAPPIST-1 avrà una HZ molto più vicina. Nel caso del Sistema Solare, la HZ è compresa all’incirca tra le orbite di Venere e Marte.

Volendo complicare un po’ le cose, si può aggiungere che l’abitabilità dipende anche dal tipo di pianeta. Vediamo come.
Intanto, perché ci sia acqua sulla sua superficie, il pianeta in questione una superficie deve averla. Di conseguenza ci tocca considerare unicamente i pianeti rocciosi, lasciando da parte giganti gassosi simili a Giove o al più piccolo Urano, benché magari alla giusta distanza dalla stella.
Inoltre, l’acqua deve essere presente allo stato liquido. Nel vuoto dello spazio, si trovano unicamente ghiaccio o vapore acqueo, ma mai acqua liquida. Perché possa essere presente in questo stato è necessaria un’atmosfera che sviluppi una certa pressione sulla superficie del pianeta. La presenza dell’atmosfera, inoltre, consente di intrappolare parte del calore proveniente dalla stella, grazie al noto fenomeno dell’effetto serra.
Quest’ultimo è un altro fattore da tenere in considerazione: se da un lato, infatti, un elevato effetto serra permetterebbe di innalzare la temperatura di pianeti in teoria troppo lontani, è anche vero che lo stesso effetto – se esagerato – potrebbe rendere troppo caldi pianeti nominalmente all’interno della HZ.

Il sistema planetario attorno a TRAPPIST-1 a confronto con il Sistema Solare interno. Crediti: NASA/Caltech

Cosa dire, allora, dei pianeti scoperti attorno alla stella TRAPPIST-1?
Sono tutti e sette rocciosi, grandi più o meno come la Terra e con una massa che va da poco più di una a circa metà del nostro pianeta.
Di questi sette, tre (TRAPPIST-1 e, f, g) si trovano all’interno della HZ.
E fin qui tutto bene.
Purtroppo, al momento non sappiamo se hanno un’atmosfera. È probabile che in futuro saremo in grado di capire se essa sia presente e quale sia la sua composizione grazie ad osservazioni spettroscopiche, ma per ora ci dobbiamo accontentare di simulazioni computerizzate. Anche ipotizzando dense atmosfere e abbondanza d’acqua, l’evoluzione di questi mondi non è delle più fortunate.

Infatti, attorno a nane rosse come TRAPPIST-1, la posizione della HZ cambia molto. Per questo tipo di stelle i problemi iniziano già nella fase di pre-sequenza principale, ancor prima che l’oggetto sviluppi reazioni nucleari al suo interno. Mentre il gas della nebulosa che darà vita alla stella va concentrandosi sotto l’effetto della gravità, esso si riscalda e irradia energia luminosa: per stelle di piccola massa accade che in questa fase la luminosità sia maggiore di quella prodotta dalla stella formata.
Ciò significa che nel corso del tempo la HZ si è avvicinata alla stella, per cui pianeti che ora si trovano all’interno della HZ non lo erano durante la formazione del sistema, con il rischio che anche con dense atmosfere (o forse proprio a causa loro) eventuali presenze di acqua liquida sulla loro superficie siano state spazzate via prima ancora della nascita della stella vera a propria.

TRAPPIST-1 è una nana rossa, una stella la cui luminosità è circa lo 0,05% di quella solare; pertanto la sua HZ è molto vicina, a circa un trentesimo della distanza Terra-Sole. Purtroppo, orbitare molto vicino a una stella debole non è la stessa cosa che star più lontani da una stella luminosa.
A quella distanza l’interazione gravitazionale con la stella fa sì che molto probabilmente tutti e sette i pianeti attorno a TRAPPIST-1 siano in rotazione sincrona, ovvero mostrino alla stella sempre la stessa faccia (esattamente come fa la Luna con la Terra). È ovvio che una situazione del genere non sarebbe ottimale dal punto di vista climatico: un lato sarebbe sempre molto caldo, mentre l’altro gelido. Non un luogo proibitivo forse, ma decisamente inospitale.

Non solo. Le stelle più piccole, nonostante la ridotta luminosità, tendono a essere più scorbutiche di quelle di tipo solare. Eventi violenti come i brillamenti solari tendono a essere più frequenti e energetici (in proporzione), facendo sì che pianeti così vicini siano investiti da flussi di particelle e di radiazione ad alta energia (raggi UV e X) con più facilità. Questi fenomeni tendono a erodere l’atmosfera dei pianeti e a scindere il vapore acqueo in idrogeno e ossigeno, facendo poi disperdere il primo nello spazio; lo stesso meccanismo che ha trasformato il pianeta Marte – un tempo ricoperto di oceani – nel deserto arido che osserviamo oggi.

Uno studio riguardante i brillamenti di TRAPPIST-1 mostrerebbe come questi siano particolarmente frequenti e possano avere sui pianeti in orbita attorno alla stella un impatto fino a 10 mila volte maggiore degli omologhi solari. Per difendersi da un simile attacco, un pianeta dovrebbe disporre di una densa atmosfera provvista di uno strato di ozono che protegga la superficie dalla radiazione ultravioletta; l’atmosfera a sua volta dovrebbe essere difesa da un intenso campo magnetico che devii il plasma proveniente dalla stella centrale.
Cosa sappiamo del campo magnetico di questi pianeti? Al momento assolutamente nulla.

I pianeti scoperti attorno a TRAPPIST-1, dunque,  sono sì di tipo roccioso e con dimensioni comparabili alla nostra Terra, ma i dati ricavati dalle osservazioni sono palesemente insufficienti e non ci permettono di affermare con sicurezza se uno o più di quei corpi celesti sia veramente abitabile o meno.

In conclusione, il mio consiglio spassionato è di aspettare e scegliere una meta diversa per le vostre prossime vacanze estive, per due motivi: primo, perché un’astronave in grado di coprire i 39 anni luce che ci separano da TRAPPIST-1 in tempi ragionevoli non è ancora stata inventata; secondo, perché la tanto pubblicizzata meta potrebbe rivelarsi una grossa fregatura.

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