
Ci sono, ma non riusciamo a vederli
Stiamo cercando forme di vita al di fuori della Terra? Sì, e lo facciamo da circa 50 anni con diversi progetti, molti dei quali sono raccolti sotto la comune denominazione di SETI – Search for Extraterrestrial Intelligence (ricerca di intelligenza extraterrestre). Abbiamo trovato prove che vi siano altre forme di vita al di fuori del nostro pianeta? Beh, al momento, no.
Questa mancanza di segnali a dispetto dei nostri sforzi pone un limite superiore alla presenza di vita extraterrestre, ma certamente non permette di escluderla del tutto. Grazie alle varie campagne di esplorazione di Marte ad esempio, possiamo affermare con relativa sicurezza che attualmente sul pianeta rosso non vi è traccia di civiltà extraterrestri “evolute”, ma potrebbero esserci forme di vita microbiche. In più, Marte avrebbe potuto ospitare forme di vita più complesse in passato, prima di trasformarsi nel deserto che conosciamo oggi.
Se però E. T. esiste, come mai non ne abbiamo ancora avuto le prove?
Il problema potrebbe essere di tipo tecnologico. Nonostante la dimensione e la complessità dei moderni strumenti, questi potrebbero non essere abbastanza potenti per scoprire la vita, sopratutto se non si trova proprio dietro l’angolo. Per fare un esempio, a oggi conosciamo più di un migliaio di pianeti extrasolari, ma nessuno che abbia le stesse dimensioni della Terra e allo stesso tempo orbiti attorno alla propria stella alla medesima distanza del nostro pianeta dal Sole. La maggior parte di queste scoperte è avvenuta con metodi indiretti: con questi metodi è molto più semplice scoprire un pianeta massiccio che orbiti molto vicino alla sua stella piuttosto che un pianeta con le caratteristiche della Terra. La popolazione dei pianeti extrasolari ad oggi nota riflette proprio questo fenomeno: abbiamo molti “Giovi caldi” – giganti gassosi con orbite strette – e pochi pianeti di tipo terrestre, ma questo non vuol dire per forza che questi ultimi siano rari. Salvo pochissimi casi scordatevi immagini dirette o analisi delle superfici di questi corpi celesti; tutto quello che finora possiamo fare è ricavare massa e dimensioni del pianeta e in questo modo farci un’idea di cosa sia composto in media. Solo in alcuni casi è stata tentata una misura spettroscopica dell’atmosfera per cercare di conoscerne la composizione chimica. Se ci trovassimo a studiare il Sistema Solare da qualche decina di anni luce di distanza con la nostra tecnologia attuale, siamo sicuri di riuscire a scoprire che attorno al Sole orbitano otto pianeti e che sul terzo di questi è presente una civiltà intelligente? Per nulla.
Da ormai quasi un secolo ci è chiaro che l’Universo è immenso, e ciò ci costringe a fare delle scelte. Puntare un radiotelescopio in una direzione precisa ci permette di raccogliere dati relativi quella (piccola) porzione di cielo, ma trascurandone inevitabilmente altre. Non abbiamo la possibilità di scandagliare l’intera volta celeste con l’accuratezza e il tempo necessari per poterci assicurare di poter raccogliere un eventuale segnale extraterrestre. Se una civiltà aliena decidesse di trasmettere nello spazio un impulso radio del tutto simile al messaggio di Arecibo esattamente in direzione del Sistema Solare, noi saremmo in grado di riceverlo e probabilmente di capire che si tratta di un segnale artificiale, ma a patto di aver puntato un radiotelescopio nella giusta direzione e nel momento in cui il messaggio sta giungendo sulla Terra. E che sia sintonizzato sulla frequenza corretta.
Avendo un unico esempio su cui basarci – il nostro -, scandagliamo lo spazio prestando particolare attenzione a stelle simili al Sole, e attorno ad esse cerchiamo pianeti di tipo terrestre con tracce di composti come ossigeno o metano; siamo alla ricerca di una seconda casa oltre i confini del Sistema Solare. Ma nulla ci assicura che ciò che è bene per noi lo sia anche per loro. Magari fin ora abbiamo puntato i nostri enormi radiotelescopi in direzione di stelle gemelle del Sole sperando di captare un segnale artificiale nella banda radio, intanto ci siamo persi quello che stava arrivando da nane rosse sotto forma di impulsi laser.
Esiste poi un limite fisico. Potremmo non aver captato nulla semplicemente perché un eventuale messaggio… non è ancora arrivato. La luce viaggia nel vuoto alla velocità di circa 300 mila km/s: è una velocità pazzesca, che permetterebbe a un fotone di girare attorno alla Terra più di sette volte in un solo secondo, ma è comunque una velocità finita, e le distanze nell’Universo sono enormi. L’umanità ha cominciato a giocare con le onde radio da poco più di un secolo, pertanto ogni eventuale segnale da noi inviato più o meno volontariamente nello spazio ha raggiunto le poche decine di stelle che si trovano all’incirca entro un raggio di 100 anni luce dal Sole. Una civiltà aliena più lontana potrebbe non essersi ancora accorta di noi. E viceversa.
Va precisato che in realtà questa possibile spiegazione è abbastanza fragile: la razza umana esiste sulla Terra da poche decine di migliaia di anni, un niente in confronto all’età dell’Universo, vecchio quasi 14 miliardi di anni. Con tutto questo tempo a disposizione, è piuttosto improbabile che diverse civiltà siano evolute nello stesso momento fino a raggiungere più o meno il medesimo livello tecnologico e che non si siano ancora accorte le une delle altre solo perché i rispettivi messaggi non sono ancora arrivati a destinazione. A meno di non essere i primi (e anche in questo caso, perché?), è logico supporre che possano esserci civiltà che si sono evolute ben prima di noi, di cui dovrebbe essere possibile raccogliere i segnali.
A voler cercare bene, esistono miriadi di possibili motivazioni che potrebbero spiegare come mai non abbiamo ancora prove dell’esistenza di vita extraterrestre. Alcune di queste tirano in ballo i processi evolutivi: non è detto che le tutte forme di vita debbano per forza seguire uno sviluppo tecnologico, né che abbiano interesse a comunicare; potrebbero essere estinte, o essersi evolute talmente da trascendere la nostra capacità di riconoscerle come esseri viventi (o anche solo di rilevarne l’esistenza), o potrebbero aver deciso di restare nascoste e palesarsi solo dopo determinati avvenimenti, proprio come nel caso della Prima Direttiva di Star Trek.
Esiste però la possibilità che il non aver trovato nulla non sia dovuto a un limite tecnologico, a un errore nel metodo o nelle scelte, o al fatto che non si sia cercato abbastanza a lungo. Potremmo davvero essere soli nell’Universo.